pane & marmellata

 

di attilio mina

 

 

1812 - Nell’asilo e Ospizio di Sanità a Charenton Saint-Maurice – Pubblico Ostello di Demenza e Vecchiaia - il vecchio Abbeé de Coulmier, direttore e sovrintendente generale di Casa, nel presentare ad un pubblico colto il lavoro teatrale dei suoi anziani e disabili degenti usò queste parole:

 

 

“…Coi nostri anziani attori mostratevi clementi/ Sono in quest’arte ai primi esperimenti/ Se lo spettacolo non sarà di prima qualità/ Compatite almeno la buona volontà/ Assai diversi sono i tempi nostri/ Senza oppressori e giorni foschi/ Lastrada del benessere è imboccata…/

 

 Abbiamo pane e marmellata!”.

 

 

(da Peter Weiss, La persecuzione e l’assassinio di J.P. Marat, psicodramma rappresentato ad opera dei filodrammatici dell’ospizio di Charenton sotto la guida del Marchese di Sade)

 

 

 

Come in una specie di parola-chiodo, per anni, gli “animatori sociali” per primi, ed a seguire in ruota, clinici, sociologi, terapisti, direttori di Case Anziani; tutti insomma, ci siamo ficcati nella testa che il tempo della cosiddetta “Animazione” svolta ancorché con finalità terapeutiche tra i disabili e gli anziani degenti nelle strutture organizzate, altro non fosse che il “tempo da far passare”, per il tempo monotono del tutti uguali.

 

Un buon tempo quindi, per dire il dipoi, al colto ed all’inclita, di funzioni cognitive, di senso comune del gruppo, di partecipazione ed integrazione; con buona pace dissertando, come se tanto il nonnino quanto il disabile, il demente senile, lo zoppo, il cieco, il sordo, il muto, necessitassero d’altri compatimenti, ahinoi, di gruppo, nel gruppo, per sentirsi meno vecchi, meno dementi, meno fragili, meno abili.

Meno soli che l’usuale!

 

Indi e ragion per cui e per conseguenza scalare, occorreva ed ahimè occorre ancora far mazzetto del vecchietto, infiocchettare il disabile in un “tutti insieme appassionatamente” (volenti o più spesso nolenti) nel far “lavoretti” poco meno che infantili, cincischiare al tricot con mani anchilosate nel gruppo del sofà, giocar di tombola col numero chiamato, far disegnini e colorare, incasellare tesserine per un puzzle da farsi con l’occhio stentato e la mano tremula. Infine, suprema sintesi del gruppo sociale, un bel cantato d'insieme: “quel mazzolin dei fiori che vien dalla campagna..”, imbastendo mielosi e fuori tempo cori alpini da casa.

 

In corridoio: “…te lo voglio regalare… te lo voglio regalareeee…!”.

 

Ripensate ora ad un Bolero di Ravel suonato da un pianista sofferente d’artrite ad una mano, oppure suonato contemporaneamente a più mani artritiche.

Ci siete riusciti?

Ecco è così, ed anche peggio!

 

Che dire poi di uscite e gite in forzosa comitiva alla “ragionierfilini”, in un tutti in coda a sbertucciar scimmiette tirando noccioline alle Cornelle o l’aggirarsi smarriti in fila indiana tra odor d’infanzia, effluvi caldi, impalpabili nebbioline al cacao e ribollite mandorlate di fabbrica del “Gran Cioccolataio” in un tutto senza piaceri, senza delizie, senza assaggi che pare esser peccato all’età tarda.

 

Gite socializzanti ed istruttive, così almeno si racconta nella favola bella!

 

Insomma alla base del principio terapeutico sopraddetto, si è posto quell’infausto assioma popolar-esistenziale e assistenziale che accomuna nel cerchio ciclico della vita, anzianità a primigenia infanzia, disabilità ad impossibilità o peggio ancora impotenza sociale, in una specie di limbo dell’inconsistenza dell’aldilà o del divenire della coscienza critica o dell’abilità.

 

Ciò detto, nulla vogliamo togliere ai meriti di chi con candida dedizione ed onestà intellettuale pratica la professione dell’Animatore o ancor più spesso dell’Animatore estemporaneo, sceso nel campo del volontariato peripatetico da casa; di Casa in Casa per Anziani.

 

Tutto è lodevole, specie laddove tanto il poco quanto il poco più del nulla servono a scandire il lento ma inesorabile ticchettio di una vita comunque e per innumerevoli ragioni decaduta nella zona d’ombra dell’esistenza.

 

Quella zona in cui l’inedia, l’inazione, la monotonia delle ore, la nausea, la noia, l’impossibilità nell’agire, il tempo fisso tanto del giorno che della notte ha il definitivo sopravvento sui ricordi, sui momenti, sulle residue energie, sulle azioni trascorse di una vita intera.

 

Eppure visse giovane anche il senescente..

Eppure visse diversamente l’inabile.

Eppure vissero tutti Uomo o Donna, sani o malati, abili o inabili nel tempo loro della vita pregna.

Eppure vissero tutti con onesta dignità d’uomini e cittadini rispettosi.

 

..E rispettati!

 

Rispettiamoli!

 

Dunque eccoci per conseguenza addivenuti a scartavetrare la ruggine di quel “chiodo fatto parola”; che sta proprio all’origine tanto della “azione” quanto della “malintesa azione” di cui dicevamo.

“Dar anima, vivificare, infonder lo spirito di vita, incoraggiare”; tutte locuzioni queste (e sono solo alcune delle infinite equipollenti) rapportabili ad un solo, unico verbo: “a n i m a r e”.

 

Ne consegue che l’aggettivazione operante del verbo, l’ “Animazione”, appunto, riconduce invariabilmente ad un solo paradigma operativo: infondere vita con il fare e con l’anima ben oltre il degrado degli anni, della quotidianità, della sventura, delle impossibili possibilità.

 

Tutti s’immaginano, anche se non lo dicono, che un anziano a riposo, o un disabile siano qualcosa di sbiadito, di inerte.

 

Nella vita emergente da Ostello, appunto, ed a "riposo eterno", lo sono certamente per costrizione e per caducità delle cose oltreché per mera impossibilità d'azione; ma in quella sommersa dell’anima quiescente, dei sogni, nascosta, interna, celata agli sguardi, certamente no.

 

Da ciò discende che siccome ogni anziano, ogni disabile, ogni singola persona coattata risulta atipicamente fuori dal comune; quindi unica, inimitabile e singola “anima” che richiama e dovrebbe avere una dignità rispettata ed una tutta sua particolare attenzione.

 

Attenzione!

 

Occorre quindi, o meglio occorrerebbe dar corpo per ciascuna "Anina", per ciascun soggetto-oggetto di (vera) terapia, a qualcosa che molto somigli al “tempo rubato” delle esecuzioni musicali.

Un tempo e una sonata in cui manomettendo e aumentando o all'opposto calibrando diversamente lo spartito previsto e plasmandolo a misura dell'esecutore, il tono ed i ritmi della partitura lasciata alle singole possibilità ed al libero andamento dell’interpretazione; risultino egualmente comprensibili, armoniosi e fruibili per tutti.

 

C’è allo stato delle cose una "maldetica", come c’è il maldimare, ed un più generale senso di malessere nell’approccio alla diversità delle vite dei singoli anziani, dei disabili e delle loro (im)possibilità, cui è tempo di rimediare ponendo fine ad un’epoca anche se ancora non si intravvede che un semplice segno di speranza in un Nuovo Umanesimo d’orizzonte.

 

2012- Eppure anche i tempi nostri:

 

…sono assai diversi/ senza oppressori e giorni foschi/ La strada del benessere è imbroccata…/

 

Abbiamo pane e marmellata..!”.

 

 

 

attilio mina