Creare l'accoglienza

 spazio a cura di Mary Ardia

Terapista d'animazione ed Ergoterapista

 

Titolo: Collana “Vademecum dell’anziano ticinese”

Editore: Edizioni AAPI-OCST, A.D. 2004

Autori vari, redazione a cura del segretariato dell’AAPI-OCST, illustrazioni da Christian Demarta, Bellinzona

Estratto da pag. 37-41 (autore dell’estratto sottotitolato “L’accoglienza dell’anziano” di Mary Ardia (terapista d’attivazione e ergoterapista)

 

Il tema della comunicazione è vasto quanto il cielo, per cui cercherò di soffermarmi solo su alcuni riflessioni. In ogni istante della nostra vita quotidiana comunichiamo, e lo facciamo in mille modi o, meglio ancora, ogni persona lo fa alla propria maniera.

Perché alla propria maniera?

Perché ogni essere umano è unico e irripetibile, e dunque si avvale della sua esperienza di vissuto personale. Il principio universale di questa nostra avventura terrena ha inizio, senza ombra di dubbio, nella comunicazione che avviene fra madre e bambino.

Sin dai primissimi momenti in cui la madre si render consapevole che un bimbo “c’è” nel suo grembo, madre e bambino si avvinano all’incontro. È un incontro pieno di amore. La mente della mamma vaga nell’immaginazione. Spontaneamente ci sono gesti e sguardi verso la parte del suo corpo che accoglie. La voce è ancora soffusa in un dialogo interno. L’ascolto si fa misterioso perché c’è il desiderio di percepire, di sentire. La comunicazione fra la coppia genitoriale si sviluppa in un tessere insieme per ricevere questo grande dono. Venire alla luce significa: fondare, gettare le fondamenta per sviluppare nel tempo e nello spazio i contatti reali.

Dapprima questi contatti sono concepiti in famiglia, quindi progressivamente diretti verso altri esseri umani per avere sempre più conoscenze, apprendimenti, comprensioni,… Crescendo, questo bisogno sarà sempre più sostanziale, e si farà necessario, perché parte costitutiva del nostro essere umano.

Di norma comunicare ci viene istintivamente, con facilità e naturalezza.

Ognuno di noi può sperimentare, ogni giorno, cosa significa comunicare.

Infatti, ogniqualvolta stiamo davanti ad un interlocutore “basta” porsi in ascolto.

L’esercizio consiste nell’osservarsi, nell’ascoltarsi.

Si può utilizzare una griglia di ricerca chiamata, per l’appunto, griglia di Marcus Fabius Quintilianus (30-100 dopo Cristo, professore di retorica, autore di: “L’istituzione oratoria”, considerato il maestro dell’eloquenza). Essa provvede a dotare l’estensione di un argomento con chi, cosa, dove, quando, quanto, come, perché, e conseguentemente cogliere nell’ insieme il prisma che colpito da un raggio di luce ci mostra miriadi di sfumature del nostro modo di socializzare verbale e non verbale. Possiamo estendere questa conoscenza ascoltando e osservando i nostri interlocutori e quindi pian pianino costruire un quadro della nostra e altrui capacità o incapacità di saper relazionare.

Certo, l’esperimento ci può portare ad allenare queste competenze per poter ottenere dei vantaggi che migliorano il proprio modo di comunicare. Queste abilità possono anche essere usate per ottenere dei privilegi ma ciò suona, in un certo senso, artificiale e artificioso.

La comunicazione trasforma il nostro pensiero.

Produciamo e pronunciamo parole per rinfrancarci sulle nostre opinioni, o avere degli scambi,… quanti pensieri transitano e circolano dentro la nostra mente, parlarne produce contenuto di altri pensieri.

Quando ci pare che il momento è opportuno, propizio come una molla che scatta, (per es. per cercare una conferma, per condividere, per scambiarsi, ma anche per esibirsi ecc.) spontaneamente superiamo di molto quello che avremmo voluto esprimere sia in positivo che in negativo. Questo perché non possiamo dimenticare il nostro vissuto, la nostra identità, personalità, cultura, credenze, contesto sociale, l’aspetto psico-affettivo, la crescita, le emozioni, il modo di percepire, di capire, di sentire ecc. La comunicazione diventa una dimensione di oscillazione, un’altalena fra intrinseco ed estrinseco.

In quest’involucro c’è sia l’aspetto della comunicazione verbale (voce, tonalità, modulazione, ecc.) e non verbale (gesto, sguardo, mimica, ecc.)

Quando la persona che ci parla ci risulta simpatica e quello che racconta ci sembra interessante e ci coinvolge per qualche motivo specifico (di ordine autobiografico, per associazione di episodi o eventi, …) è molto più Facile prestare attenzione.

Se la persona si dilunga o noi stessi siamo preoccupati, se quanto essa ci racconta non è di nostro interesse o se ci sta semplicemente ripetendo cose già riportate o riflessioni già concepite, la nostra mente divaga pur mantenendo quel minimo di contatto cortese ed educato.

Questi esempi che tutti noi conosciamo ci dovrebbero svegliare e aiutare a coscientizzare meglio il significato intrinseco e estrinseco di interloquire con l’altro.

Certamente non possiamo essere sempre in ascolto. È cosa difficile, comporta fatica, è molto impegnativo condividere emozioni e stati d’animo perché è una forma di generosità. In piena libertà ogni persona può scegliere, sentire quando è importante esserci.

Questa forma di generosità è ogni volta qualcosa di nuovo come l’albeggiare di ogni mattina, come il fiorire di una rosa che con soavità porta ogni suo petalo ad apparirci vellutato, caldo, lucente ma armonioso e intenso. È un insieme che forma l’unione di elementi nella bellezza più pura.

Nel quotidiano la discussione può mantenersi in superficie, gli scambi e il loro contenuto sono di tipo sociale, ma per questo meno arricchenti, sarà una comunicazione più animata, dinamica, di convivenza, di appartenenza, il vivere con gli altri creando sinergismo.

Ogni epoca della vita ha le proprie caratteristiche, quella della persona anziana è congiunta al suo lungo vissuto.

La comunicazione nell’anziano è unita alla sua salute, all’età, ai cambiamenti sociali, culturali, psicologici e affettivi.

 

Invecchiare non è uno stato che arriva all’improvviso, bensì una continuità della propria vita, del proprio essere in divenire.

Tutto si prepara. Quando arriviamo all’età matura, inizia a ritroso un bilancio di ciò che abbiamo fatto o non fatto, costruito o non costruito. I legami diventano più importanti. Comprendiamo che la comunicazione è un frutto, è una capacità che possiamo affinare.

Anche quando avviene una certa diminuzione dei camali sensoriali (udito, voce rauca, afona, vista, tatto, gusto, calo delle abilità percettive e così via), l’anziano, grazie alla sua lunga esperienza nella comunicazione, si rende capace di cogliere e di riconoscere messaggi e informazioni peculiari sia dalle persone che lo attorniano che dall’ambiente. Attinge ai colori digradanti della comunicazione attraverso la saggezza del sapere anche in quella saggezza che è silenzio. Il detto “il silenzio è d’oro” è di una profondità infinita.

Più gli anni passano più ci ritroviamo a vivere la perdita di marito/moglie, amici, conoscenti. Ciò comporta sempre di più un isolamento dal resto della comunità per ritrovarsi con minor contatti sociali, a comunicare sempre meno.

Per queste e tante altre ragioni entrano a far parte della nostra esistenza delle figure professionali.

La relazione terapeutica è l’intesa come rapporto fra operatore-terapeuta e paziente.

La parola “terapeutico”, se fa riferimento ad una attività o a un arte (musicoterapia, danzaterapia,…), comporta un’applicazione metodica ispirata da concezioni scientifiche con scopi sanitari, di cura.

Ciò implica un “saper ascoltare” da parte del terapeuta.

L’intervento terapeutico si basa sull’ascolto attivo, che valorizza e incoraggia il paziente/cliente, partendo sempre da quello che la persona sa esprimere dai suoi bisogni, desideri, interessi e risorse. L’ascolto permette di valutare la situazione dell’anziano sia nel suo vissuto che nelle sue aspirazioni. L’operatore deve saper analizzare i sintomi, i malesseri, i disagi ecc. e definire con il paziente stesso l’influenza di questi sulla vita quotidiana, alfine di poter raggiungere una migliore qualità di vita.

Per far ciò è rilevante creare una relazione di fiducia, tra paziente e terapeuta che precorreranno un tratto di vita insieme.

L’accoglienza è prendere contatto con l’essenza dell’altro. L’ascolto attivo favorisce la percezione, l’intuizione di “vedere” la possibile soluzione al problema o piste orientative che ci vengono direttamente trasmesse dal paziente.

In una relazione di fiducia il paziente accetta implicitamente di parlare di sé, aprirsi in modo intimo.

L’incontro fra questi esseri umani è un processo che si può riassumere con delle parole chiave: percepire, comprendere (prendere con sé), agire (insieme).

È una forza interiore che si chiama empatia. È il sentirsi in sintonia con l’altro.

È prendere sul serio la sofferenza dell’altro in un processo narrativo “qui-ora”, insieme. È un incontro nel presente, è un proseguire nel futuro.

 

 Mary Ardia

 

 

 


 [U1]L’ascolto si fa misterioso