disabilità e invecchiamento

 

Da tempo si assiste ad un progressivo aumento dell’aspettativa di vita delle persone con disabilità intellettiva (DI). In particolare per la Sindrome di Down (DS) si evidenzia un corrispettivo incremento del rischio di sviluppare patologie connesse all’invecchiamento precoce come la demenza, con manifestazioni neuropatologiche caratteristiche della malattia di Alzheimer (AD), e più precocemente rispetto al resto della popolazione. Si precisa che nelle persone con DS tutti i processi di invecchiamento compaiono più precocemente[1].

Negli ultimi anni i processi di degenerazione neuronale e di invecchiamento accelerato che caratterizzano i soggetti con DS sono stati studiati per cercare di individuare nuove strategie terapeutiche. Si è indagato anche sulla correlazione tra AD e DS e si è potuto rilevare che i fattori di rischio sono comuni a quelli della popolazione generale: progressivo invecchiamento, comportamento depressivo, patologie a carico della tiroide e danni cerebrali. Anche la familiarità per demenza presenile e l’epilessia sono importanti fattori di rischio[2].

Cito direttamente dalla fonte:

 

“Alcuni autori hanno riportato una maggior incidenza di nati affetti da DS nelle famiglie con storia familiare per AD (35), altri invece hanno rilevato un aumentato rischio di comparsa di AD nelle madri che hanno avuto figli affetti da DS prima dei 35 anni di età(36).

Successivamente si è giunti alla conclusione che esiste, nella DSCR, un gene candidato per la familiarità per AD: questo gene codifica per il precursore della proteina amiloide (APP) (37, 38). Si stima che le prime manifestazioni di AD compaiono a 30-40 anni di età e che, a partire dai 60 anni, il 50-70% dei pazienti con DS sviluppa demenza senile (39); la maggioranza dei pazienti con DS, dopo i 30 anni, inizia a sviluppare modificazioni neuropatologiche cosidette “Alzheimer-like”: vengono interessate le stesse regioni cerebrali di AD, quali amigdala, ippocampo, aree della corteccia frontale, temporale e parietale, così come identiche sono le caratteristiche strutturali delle placche e le alterazioni a carico dei neurotrasmettitori (40)”[3].

 

Lo sviluppo della demenza, conduce più facilmente la persona con DI all’istituzionalizzazione poiché la famiglia, e in particolare i genitori che invecchiano, non


riesce a far fronte da sola ai problemi derivanti dai cambiamenti cognitivi e comportamentali. È importante monitorare lo stress nei caregivers attraverso la somministrazione di questionari per comprendere come sostenere al meglio i soggetti coinvolti nel processo di cura.

Si tratta di comprendere quando e come è possibile la permanenza e la cura in famiglia e quando invece è necessario affidarsi a strutture adeguate e in quale modalità e misura, nel rispetto dell’inclusione sociale e dell’imprescindibile dignità della persona.

Sono molte le ricerche nel campo degli interventi farmacologici nella DI, mentre si evidenziano lacune per quanto riguarda studi circa la modifica delle condizioni ambientali, l’applicazione di programmi adattati e l’assistenza specializzata nel contesto di vita usuale della persona con DI[1].

Le proposte di intervento riguardano principalmente le emozioni e il controllo comportamentale riservando l’uso degli psicofarmaci solo a quei casi in cui risulta strettamente necessario.

Fondamentale risulta il mantenimento dell’attività educativa, occupazionale e motoria costante. L’autostima e il tono dell’umore possono migliorare con interventi di musicoterapia e arte-terapia.

Anche la pet-therapy può essere introdotta in ambito riabilitativo poiché consente di facilitare lo svolgimento di attività significative come il nutrimento, la passeggiata, il gioco e favorire l’interazione affettiva.

Le problematiche legate all’invecchiamento nei soggetti affetti da disabilità intellettiva e in particolare DS devono essere affrontate attraverso azioni mirate, che devono guardare alla persona nella sua globalità evitando la frammentazione. L’approccio all’anziano con disabilità richiede interdisciplinarità, attraverso un lavoro di equipe dei vari professionisti chiamati in causa.

Vorrei sottolineare il ruolo fondamentale del pedagogista cognitivo-neuromotorio nel coordinamento dei vari interventi (sensoriali, motori, riabilitativi, cognitivi e relazionali) e nella stesura di un progetto educativo-assistenziale che coinvolga anche i caregivers aiutandoli attraverso adeguata formazione a considerare non solo la malattia ma anche le risorse che devono essere riconosciute e potenziate nella persona con disabilità.

Lo scopo di questo breve elaborato è quello di portare all’attenzione dei lettori un tema forse ancora poco trattato con la speranza che possa stimolare un dibattito tra operatori, famigliari e persone che vivono direttamente le problematiche relative alla disabilità intellettiva e all’invecchiamento.



[1] Zigman WB, Lott IT: “Alzheimer's disease in Down syndrome: neurobiology and risk.” -Ment Retard Dev Disabil Res Rev.;13(3):237-46 (2007), Bush A, Beail N: “Risk factors for dementia in people with down syndrome: issues in assessment and diagnosis.” - Am J Ment Retard. Mar;109(2):83-97 (2004), citati in Capelli M., “Sindrome di down e fattori di rischio nel declino neurocognitivo”, tesi di dottorato in Medicina materno-infantile e dell’età evolutiva e fisiopatologia della funzione sessuale, Università di Bologna, anno 2010, p. 10.

[2] Capelli M., “Sindrome di down e fattori di rischio nel declino neurocognitivo”, op. cit., p. 11

[3] (35) Heyman A, Wilkinson WE, Hurwitz BJ: “Alzheimer's disease: genetic aspect and associated clinical disorders.” - Ann Neurol, 14:507-16 (1983), (36) Schupf N, Kapell D, Lee JH, Ottman R, Mayuex R: “Increased risk of Alzheimer's disease in mothers of adults with Down's syndrome.” - Lancet, 344:353-6 (1994), (37) St George-Hyslop PH, Tanzi RE, Polinsky RJ, Haines JL, Nee L, Watkins PC, Myers RH, Feldman RG, Pollen D, Drachman D: “The genetic defect causing familial Alzheimer's disease maps on chromosome 21.” - Science, Feb 20;235(4791):885-90 (1987), (38) Tanzi RE, Gusella JF, Watkins PC, Bruns GA, St George-Hyslop P, Van Keuren ML, Patterson D, Pagan S, Kurnit DM, Neve RL.: “Amyloid beta protein gene: cDNA, mRNA distribution, and genetic linkage near the Alzheimer locus.” - Science, Feb 20;235(4791):880-4 (1987), (39) Holland AJ, Hon J, Huppert FA, Stevens F: “Incidence and course of dementia in people with Down’s syndrome: findings from a population-based study.” - J. Intellect. Disabil. Res., 44, 138–146 (2000), (40) Holland AJ: “Down's syndrome and the links with Alzheimer's disease.” - Journal of Neurology, Neurosurgery, and Psychiatry, 59:111-114 (1995), citati in Capelli M., “Sindrome di down e fattori di rischio nel declino neurocognitivo”, op. cit., p.11

[1] Cfr. Mantesso U., Un luogo di cura: La Meridiana, atti del Convegno Internazionale Anffas “La longevità nella disabilità intellettiva”, Trento, 5/6 ottobre 2012