PREMESSA

 

“… Oggi tutto dev’essere ripensato. Tutto deve ricominciare. E in effetti tutto è ricominciato, senza che lo si sappia. Siamo allo stadio degli inizi: modesti, invisibili, marginali, dispersi. Perché esiste già, su tutti i continenti, un fermento creativo, una moltitudine di iniziative locali che vanno nella direzione della rigenerazione economica o sociale o politica o cognitiva o educativa, terapeutica,  etica o di stili di vita.”

(Edgar Morin, filosofo, in :”elogio della metamorfosi”.)

 

il nuovo umanesimo terapico non si ferma al calar della sera  

 

Übermorgen, wenn wir alt sind“ (un domani, quando saremo anziani)

Editore: Rüffer&Rub Sachverlag Zürich, 2003

Autori vari, redazione a cura di Christa Monkhouse/Renate Wapplinger

Estratto da pag.140 a pag. 147, autore dell’estratto sottotitolato “„Eden macht nicht Halt, wenn es dunkel wird” di Dragana Jekic (esperienze di una infermiera in casa per Anziani “Beugi” a Zollikon)

 

 

  

Libera traduzione e integrazione  personale a cura di Carina Panier -Bracher

Ergoterapista della clinica geriatrica  comunale di Bellinzona

 

 

In genere tutti i degenti di Case Anziani, ed in particolar modo i più attempati e maggiormente bisognosi di cure ed attenzioni da parte del personale infermieristico, ricercano istintivamente un ambiente il più possibile affine alla socialità domestica consueta, rifiutando o subendo con passiva rassegnazione indistinte e impersonali omologazioni in locali di stazionamento o “parcheggio”, tanto neutri quanto inefficaci dal punto di vista terapeutico.

Molti di loro percepiscono questa scelta, come si è detto, in modo istintivo, altri ricercandola razionalmente, altri ancora timidamente invocandola. Infine, i più consunti dall’età e dal progredire irreversibile delle malattie geriatriche, manifestano in genere la loro scelta nei riguardi di un’ospitalità che si vorrebbe “domestica”, in modo emozionale od epidermico, confidando nella corretta comprensione di un loro gesto, di uno sguardo lontano, pudico, melanconico e sottaciuto.

Chi scrive, forte di un’esperienza trentennale, considera del tutto naturale poter percepire la socialità familiare e domestica dei propri anziani ospiti, attraverso la presenza in Casa Anziani anche di animali domestici e di piccoli contributi alla vita quotidiana (familiare) da parte degli stessi anziani ospiti con il disbrigo di semplici incombenze quotidiane come servizi di cucina, pelar verdura, oppure ancora prestando aiuto al personale nello stendere o dar piega a asciugamani, biancheria da tavola. Lavori assai poco faticosi ma assai utili all’integrazione, socializzazione e nel dar senso, sostanza e compiutezza attiva al trascorrere del tempo nel ricordo di passate consuetudini di famiglia.

Il fluire della vita in Casa Anziani dovrebbe essere il prolungamento dalla quotidianità del vissuto reale di ciascuno degli ospiti, contrappuntato liberamente dalle informazioni dei notiziari radio e/o televisivi, dalla disponibilità alla lettura dei quotidiani, dai suoni, dalle musiche, dalle canzonette d’ogni tempo, sussurrate o meglio, canticchiate anche in compagnia del personale d’assistenza seppure indaffarato, o da personale avventizio ed estemporaneo su base di volontariato. E’ poi del tutto da ritenersi come naturale il fatto che le visite anche di estranei debbano ritenersi ben accette ed altrettanto utile ed incentivante dovrebbe essere ritenuta la presenza in Casa Anziani dei figli minori del personale operante. C’è modo così di abbracciare con lo sguardo l’intera parabola della vita in un intrigo generazionale fatto di giochi in comune, ascolto di brani musicali, ricordi e racconti in presa diretta dalla storia e dal tempo. Libere conversazioni, dialoghi, telefonate agli amici lontani, ai parenti assenti, disponibilità di connessione alla rete, in attesa dell’ora del pranzo o del vespero.

Come di consuetudine di ogni famiglia seppur dispersa dalla lontananza forzosa, gli ospiti di Casa Anziani continueranno nella pratica domestica del lavaggio manuale ed estemporaneo di piccole cose d’uso, quali fazzoletti, calze, e quant’altro, e parimenti, si prenderanno cura dei fiori liberamente posti nelle stanze, eventualmente sui propri balconcini di camera o nei giardini, nelle aiuole comuni, potandoli, travasandoli, umettandoli per tempo con l’annaffiatoio. La liberalità della Casa Anziani, si manifesterà ancor più nel permettere a ciascun ospite di alzarsi a piacere ad ogni ora (giorno/notte), dare uno sguardo al mondo dalla propria finestra, sorseggiare una bevanda tolta dal frigo di camera, assaggiare un frutto che fa bella mostra nel centro tavola della propria cameretta, uscire e scambiar quattro chiacchiere col vicino di stanza come fosse l’antico vicino di casa o con l’estraneo di passaggio. Il tutto senza limiti, in ogni ora, in ogni tempo. Anche la notte!

 

Da noi in Casa Anziani Beugi, molto si è discusso e molto si discute della problematica del divenire di nuovi metodi di accoglienza e la direzione ha organizzato ed organizza corsi appositi per meglio introdurre, spiegare e divulgare a tutti il concetto basilare di “nuovo umanesimo terapico”. Personalmente durante i corsi organizzati ed in fase di autocoscienza, nell’ambito di mie riflessioni sul valore della mia trentennale esperienza , ho avuto modo di focalizzare e comprendere il valore del concetto di “sofferenza”, legato alla senilità coatta.

 

La sofferenza è la costante che caratterizza la vita di comunità e rimane presente e ben radicata nei singoli ospiti, ben oltre l’applicazione di concetti d’accoglienza pur avanzati e basati non più sulla sola coercizione e la sola medicina di base, ma su graduali approcci amicali, Validation, sulla cinestetica e sulla stimolazione basale secondo gli enunciati di Froehlich.

 

Nonostante tutto questo, nelle strutture istituzionalizzate osservando alla radice ogni singola espressione di sofferenza esistenziale mi è apparsa con chiarezza, l’assoluta mancanza di una vicinanza all’anziano fatta di “complicità, solidarietà emotività, empatia, calore e fiducia.

 

Tutto ciò mi è apparso con particolare evidenza ogni qual volta operavo in presenza di ospiti affetti da demenza senile, ovvero affetti da decrescente capacità mnemonica e raziocinante a vari livelli di degrado. In questi casi, in prima istanza, a decrescere progressivamente fino alla sua scomparsa definitiva è il senso dell’orientamento. A seguire, sopraggiunge l’evanescenza progressiva dei fondamentali concetti di gestione e dignità della vita e della persona , introducendo l’anziano ospite in un mondo a dimensione larvale.

 

L’auto riconoscimento delle proprie sembianze e della propria identità fisiognomica, il dipanarsi del ricordo pregresso dell’esistenza vissuta, il riscontro ed il riconoscimento delle persone care e degli affetti, sfumano nell’indefinito col progredire del tempo e dell’incedere della demenza dell’ospite.

Di tutta una vita fatta di emozioni, di amori, di sentimenti contrapposti, di esperienze e fisicità manifesta, certamente non tutto è alla fine, “residuo disperso”, polvere nel tempo. Non tutto svanisce disperdendosi nel vento inesorabile del tempo labile della memoria. Qualcosa seppur minimalmente rimane e si perpetua fiaccamente anche in un corpi resi amorfi ed ingrigiti.

Talvolta, anzi, assai spesso percentualmente, il residuo d’una umanità minima perdura stabile negli anni, ben oltre l’incalzare del degrado generale. Ne è prova il riaffiorare di momenti di placida lucidità nei nostri soggiornanti, in cui gli stessi appaiono (e concretamente lo sono) assai vicini alla percezione della realtà ambientale, decodificandola nel ricordo, ben oltre la diagnosi clinica cui gli si attribuisce assenza mentale e catatonicità ambientale.

In questi casi, prendendo avvivo da questi “riaffioramenti spontanei " di memoria, il personale curante (n.d.t: in particolar modo l’ergoterapista) dovrebbe farsi carico prioritariamente e sollecitamente del “rinforzo delle risorse cognitive“ dell’ospite. Purtroppo, nella norma, si placa il risveglio della “coscienza attiva” con farmaci e sedativi.

 

La sintomatologia del risveglio si manifesta in genere attraverso stati permanenti di insonnia, momenti di convulsa aggressività, stati confusionali con interposizioni di situazioni spazio-temporali e vagabondaggio. L’utilizzo della farmacopea inibitoria ai fini di una tranquillità ambientale, e di un ordinato incedere dell’attività di Casa Anziani, decreta nei fatti la fine di ogni speranza di contenimento del decadimento del singolo ospite, allontanando  prospettive di dignità di vita, altrimenti ottenibili con le azioni cosiddette di rinforzo. Per me questa osservazione per altri versi banalissima, rappresentò l’inizio di una nuova dimensione umana e professionale insieme.

 

Viaggio stupefacente attraverso il recupero di una senilità degradata

 

Stato situazionale classico di Casa Anziani:

 

-       Esterno casa: cala l’oscurità.

-       Interno casa: si accendono le luci notturne.

-       Su tutto scende la lunga notte degli anziani.  

 

Per molti ospiti il sonno tarda ad arrivare, l’insonnia diviene un incubo. La stanza pare restringersi, il silenzio diviene ossessivo ed ossessione. La solitudine unita al senso di abbandono si fa insopportabile. Nel silenzio si accende la piccola abat-jour, le ombre verdognole incupiscono la stanza. Il freddo invade la mente degli ospiti come sempre accade quando solitudine e silenzio come negli incubi peggiori, finiscono col coincidere.

E’ questo in sintesi il momento topico in cui i soggetti più deboli e gli affetti da demenza senile imboccano la via senza ritorno dell’isolamento, fuggendo definitivamente dal confronto con il mondo reale ed  isolandosi totalmente.

All’interno di questa "fase di non ritorno”, i “soggetti deboli” risalgono gradualmente e istintivamente la china della vita verso il loro passato remoto, incamminandosi con la mente attiva verso frammenti sparsi della gioventù trascorsa, ritrovando spesso proprio nell’infanzia perduta e nei  momenti dimenticati da sempre, una specie di personalissimo Nirvana che li conduce alla (ri)scoperta empatica degli gli stati post e prenatali, ed alla certa sicurezza di un afflato materno altrimenti irrecuperabile alla vita.

 

Troppo poco è il tempo della scoperta e personalmente non saprei indicare con esatta percezione dove il proseguio di questa strada conduca con esattezza, ma posso sicuramente intuire di quali pietre è lastricata.

 

-       Il distacco:

 

Moltissimi tra gli ospiti per “demenza”, giungono in Casa Anziani in ragione del fatto che la loro presenza nel nucleo famigliare d’origine è divenuta non più sopportabile per i finitimi. Il loro orologio biologico non collima ormai più con quello del gruppo, le loro esigenze divengono incomprensibili e inconciliabili con la regolarità e l’ordine della micro comunità d’origine. In Casa Anziani si indaga sulle cause del declino, si interviene “terapeuticamente”, ma per ragioni definite di “sicurezza” ed ancor più per mancanza di tempo e personale nella gestione del caso (sic!), l’ospite viene affidato alla consolidata e cosiddetta: “terapia spontanea dello spazio comune”, e di fatto abbandonato a sé stesso ed alla comprensione e tolleranza degli altri ospiti coatti.

Se pervicacemente “disturbatori” della silente armonia generale, o troppo recalcitranti nei confronti di vari tipi di approccio, vengono invariabilmente sedati con l’uso di psicofarmaci, calmanti, sonniferi. Così agendo, viene inibito in loro, anche solo idealmente, ogni desiderio di ritorno verso il nucleo famigliare. Desiderio questa, genericamente definito come: “desiderio di fuga”.

Così agendo vi è la consolidata opinione istituzionale dell’ottenimento di un duplice apparente vantaggio: l’idea di una notte (apparentemente) serena per il soggetto trattato ed al contempo una altrettanto serena notte alla, generalmente unica/o responsabile notturna del piano. Il tutto, è facile intuirlo, con un aggravio  economico e sociale del soggetto notevolmente ridotto! Lo scopo (il fine economico) giustifica quindi la terapia.

Quali dunque le alternative possibili nei confronti di un metodo tanto diffuso e consolidato da essere arbitrariamente definito come: “terapeutico”, o al più “contenitivo”

 

-       La terapia del contatto

 

L’esperienza consolidata sul campo della professionalità mi ha insegnato che all’uso di sedativi o peggio di psicofarmaci risulta assai più produttivo l’approccio tattile-sensoriale. Non importa se piove, se nevica, se fa freddo o se è notte fonda, è sufficiente avvicinare l’ospite ansioso e porgete il braccio a sostegno e prendendolo per mano accompagnarlo lungo i corridoi del piano sino ad un breve giro all’esterno. Il calore umano, il senso di comunanza, la deambulazione, l’aria fresca e rigenerante faranno in modo che l’ospite si sentirà tranquillizzato, protetto nel contesto di una solidarietà domestica e familiare.

 

-       L’apparire dell’improbabile

 

Ciò che è vietato in ogni Casa Anziani di tipo tradizionale e ciò che difficilmente viene concesso agli ospiti degenti anche nelle strutture più “aperte”; è al contrario, norma istituzionale e consolidata presso Casa Beugi. Dal tempo in cui si è dato avvio al progetto di per “nuovo umanesimo terapico”, tutto è cambiato. Ad esempio, una nostra ospite residente, è solita invertire l’ordine spazio temporale del tempo, scambiando il giorno per la notte. Interrotto il sonno è solita vestirsi per poi uscire nel buio con il proprio deambulatore. In questa condizione normalmente considerata a rischio, da noi  è accettata come libera scelta e l’ospite non viene più forzata  al rientro nella propria stanza e a riguardo non patisce altri tipi di costrizioni né impositive, né medicali. Ora, con “l’apparire dell’improbabile” e del lecito altrove inibito, le viene servita la colazione come da sua richiesta, anche nel cuore della notte di tutti. Assecondando i suoi desideri riceve caffè, spremuta d’arancia, brioche all’albicocca ancorché calda di forno. A lei, da poco si sono aggregati altri ospiti insonni, soliti passare le lunghe ore della notte, ansiosi nel proprio letto. Per loro e per tutti quelli, moltissimi tra gli anziani, sofferenti di insonnia, ora è disponibile il “bar della notte” gestito su base di volontariato da parte degli stessi ospiti che si occupano a turno del servizio, delle pulizie delle tazze e piattini. Una tisana calda, un po’ di calore umano nella solidale conversazione al tavolo fra ospiti e poco alla volta tutti si congedano gli uni dagli altri facendo ritorno nelle proprie stanze per un placido e davvero rilassato sonno ristoratore.

 

-       L’assenza del tempo

 

L’adattamento al rallentamento progressivo dei ritmi biologici e allo sfasamento sensoriale e temporale della maggior parte degli ospiti di Case Anziani, rende la programmazione delle terapie assai problematica se il tutto deve avvenire nella logica consueta di una normale attività di tipo ospedaliero. Al contrario in assenza del tempo reale noi a Casa Beugi, basiamo la nostra programmazione sulla assoluta autonomia degli ospiti. I servizi essenziali sono pertanto disponibili 24 h, con bar notte/giorno sempre disponibile, sala lettura senza limitazioni orarie, ed altrettanto dicasi per la sala dedicata all’ascolto della musica e per ogni altro tipo di spazio /servizio normalmente a disposizione degli ospiti

 

-       Il sonno istituzionale

 

Fino al giorno in cui la Direzione di Casa Beugi decise ufficialmente di introdurre il nuovo concetto terapico, i miei turni di notte, che per altro svolgevo volentieri dall’età di 22 anni, seguivano le linee generali delle direttive comuni ad ogni Casa Anziani:

 

-       Ore 18, il calar della sera ufficiale (sic). Gli ospiti, alla rassegna del personale in servizio, invariabilmente devono farsi trovare nel proprio letto in abbigliamento confacente.

 

-       Nessuna deroga alla regola stabilita, neppure in caso di crisi notturne da fame. Il messaggio standardizzato da offrire all’ospite disturbatore era, è, il seguente: “la colazione arriverà presto, pazienti fino al mattino …”.

 

-       Le rassegne di controllo notturno dovevano essere sbrigate nel minor tempo possibile (n.d.t.:in genere da un unico e solo inserviente di servizio notte) in modo da soddisfare nel minor tempo possibile le pressanti necessità di tutti. Come è facile intuire per chi ha familiarità con la cura degli anziani, l’incombenza principale consisteva  nel cambio degli indumenti da incontinenza degli ospiti, in modo tale da garantire per tutti un sonno igienico ed “asciutto”.

 

-       Al suono del campanello di camera, si pregava l’ospite di rimettersi nel proprio letto evitando ulteriori disturbi, facendo intendergli che era il tempo del riposo per tutti. Nei confronti di un ospite insonne e riottoso, occorreva per prassi ricorrere all’oscuramento totale della stanza con lo spegnimento di ogni luce. Ad ulteriori riottosità corrispondeva invariabilmente una somministrazione di una compressa calmante di valeriana. Occorreva attendere l’effetto nell’arco dell’ora successiva, ed in mancanza del quale e di una tranquillità conclamata, si procedeva alla somministrazione successiva di sonnifero, poiché la regola prevedeva il sonno per “obbligo istituzionale”.

 

Nella traccia consolidata di una logica produttivistica dell’assistenzialismo geriatrico, avviene che, constatato che l’approccio all’ospite insonne è stata causa di una assistenza protratta nell’arco minimo di circa due ore lavorative, ne consegue che nelle notti successive, verranno somministrati i sedativi avanti l’ora canonica deputata al sonno collettivo. Operando in questo modo con ottica produttivistica si elude il circolo vizioso delle spiegazioni dimostratesi inutili, si recupera tempo-lavoro-disponibilità del personale sorvegliante, si ottiene un plus valore economico.

Sono ormai 30 i miei anni di anzianità di servizio e 29 sono gli anni in cui sono stata tormentata dalle visioni di ospiti smarriti, confusi, storditi anche di giorno. Tristi, apatici, isolati nel loro ristretto mondo solitario. Con il nuovo modo di gestione della senilità in Casa Anziani, a fronte di un miglioramento sostanziale della qualità di vita degli ospiti, si sono ottenuti vantaggi gestionali ed economici in particolar modo sul versante della assistenza medica e del consumo di farmaci e psicofarmaci.

 

-       La virtù dell’armonia

 

L’ospite che indicherò con la sola iniziale di :”W”,  ha 96 anni, è conosciuta come una persona tranquilla e assai riservata e molto ossequiente nei confronti dei regolamenti e delle norme di casa Anziani. Non manifesta desideri o richieste particolari e si limita semplicemente a passare le proprie giornate in attesa che il personale si occupi di lei e la porti in qualsiasi angolo della Casa, convinta che comunque ciò sia per il suo bene ed interesse. La sera accetta la prescritta somministrazione medica di ½ pastiglia di Dipiperon da 40mg., ritenuta indispensabile anche dal personale curante in quanto, è solita alzarsi nella notte e lasciare la propria stanza per l’espletamento autonomo e decoroso delle proprie esigenze fisiologiche. Considerato il suo stato di depressione, l’insicurezza della deambulazione nel torpore ancor caldo del letto lasciato, viene ritenuta soggetto a rischio di cadute senza una adeguata assistenza del personale infermieristico. Con l’utilizzo del Dipiperon, il mio compito era di semplice latente vigilanza nel controllare ad ore prefisse lo stato della narcosi e verificare la “tenuta” della protezione notturna (pannolone per incontinenza). Ricordo perfettamente il susseguirsi di queste mie ispezioni di rito e le reazioni da Dipiperon della cara signora “W”. Giaceva invariabilmente nel proprio letto in un sonno pesantissimo. Le prendevo la mano senza ottenere in risposta una minima reazione. Tutto il corpo appariva irrigidito nel sonno e le mani gelide. Pareva non accorgersi del freddo che ormai nella notte invadeva la penombra della stanza ed il piumone era abbandonato quasi sempre di lato, scoprendogli le spalle. La testa, abbandonata sul guanciale rimaneva ripiegata per ore e le gambe nonostante la magrezza, scavavano un solco nel materasso fendendo le lenzuola. Unico segno di vita il costato che impercettibilmente sussultava nelle larvate contrazioni respiratorie. La gentile signora “W”, abbandonata all’interno di un paradiso artificialmente surrogato, neppure poteva percepire la pressione delle mie mani sul suo corpo e si lasciava acconciare, spostare, cambiare nell’intimo notturno senza sussulti o segni di pietosi ringraziamenti. Sulla base di questa esperienza pregressa relativa alla cara signora “W” e alla maggior parte dei nostri ospiti, ci siamo posti la domanda di quale senso avesse e quali reali benefici apportasse all’ospite l’uso reiterato di sostanze inibenti la volontà. In accordo con medici e terapisti si è unanimemente deciso di sospendere gradualmente l’uso di psicofarmaci restituendo agli ospiti il senso generale dell’”armonia esistenziale”. I riscontri positivi non sono tardati e con essi i vantaggi per la stessa gestione della Casa. Ora la dolce signora “W” e con lei la quasi totalità dei nostri ospiti, possono sorridere. La signora, la notte, quanto sente l’avvicinarsi del consueto controllo, dialoga volentieri col personale di servizio e fornisce con chiarezza ogni delucidazione relativa al proprio stato. Nonostante il mio lungo cammino di servizio, ricordo ancora e con emozione La sua flebile voce nel chiedere di esser coperta, per cortesia, alle spalle. Ora trascorre lunghe ore in conversazione al bar della notte, poi al sopravvenire della stanchezza e del primo sonno, si congeda e lentamente in modo autonomo si avvia verso la toilette per prepararsi alla notte con decenza, infine si corica per un vero “armonioso” e naturale sonno rigeneratore che finalmente le consente, nel giorno, di essere presente e fattiva nella comunità di casa Beugi.

 

-       La virtù generatrice

 

Ricordo un altro ospite, l’irascibile signor “G”. Al venir meno della sua adorata compagna, inconsolabile, trovò pace attraverso la somministrazione di ansiolitici e sonniferi prescritti dal suo medico curante. Chiuso e muto nella propria casa, isolato da tutto e da tutti, gradualmente aumentava il proprio stato depressivo sino ad essere aggressivo al punto da mal tollerare persino le visite dei propri figli. Era affetto da poliartrite ed i suoi movimenti erano resi difficoltosi dalla malattia oltre che dal torpore indotto dai sedativi. Incontinente, era costretto a continui soprassalti e levate nella notte. Ci fu portato a Casa Zollikon assai di malavoglia dai figli e ad onta del deambulatore impiegato, verificammo da subito lo stato di grave insicurezza della sua andatura e la sua postura dimessa. Irascibile anche con il personale curante, irritato sempre e comunque per il prolasso della propria vescica che lo costringeva ad urgenze fuori luogo e fuori tempo, ed al cambio degli indumenti contenitori. Nell’arco del solo primo mese di soggiorno, per ben sette volte lo abbiamo ritrovato a terra con accanto il proprio deambulatore, disperato, irato, sfinito, fiaccato nel morale, bagnato. Per un anno intero ci siamo attenuti alle prescrizioni del suo personale e antico medico curante, limitandoci a constatarne l’assoluta inefficacia. Al volontario isolamento proseguito anche da noi nella propria stanza, alla solitudine, alla non celata tristezza, si aggiungevano con il passare dei mesi incubi notturni, ansie, nuove cadute a terra e più in generale un distacco impotente da ogni forma di resistenza vitale. Fu così che convocato il medico curante, i nostri sanitari e terapeuti, dopo una attenta disamina della situazione decisero concordemente di porre termine alla terapia inibitoria, confidando nella “virtù rigeneratrice” fatta  di contatti umani diretti, calda umanità  e nel risveglio della coscienza attiva. Superati i primi tempi di sconforto, d’ira seguita a prostrazione, ora il signor “G”  può dirsi rigenerato nonostante la sua età di 92 anni. Appare sicuro e lucido nel deambulatore, durante il giorno si incuriosisce e appare attivo nelle varie attività della casa. Rinforza la propria memoria attiva nel confronto quotidiano con l’ergoterapista. Autonomamente si reca con sicurezza nella toeletta, raggiunta costantemente per tempo. Seduto nella sua poltrona preferita passa il tempo a discutere anche con parca ironia con il personale di passaggio

.

-       libero arbitrio dell’esistenza

 

In conclusione posso ben affermare che nella nostra Casa, l’utilizzo della normale farmacopea inibitoria è quasi del tutto scomparso e ne fanno fede i rendiconti di Casa. Nella gestione 2001 oltre il 61% dei nostri ospite era regolarmente trattato con agenti inibitori, mentre nella gestione successiva dell’anno 2002 erano già scesi al 40%. Ma ciò che non suggeriscono i dati è la percezione di vitalità, “libertà della vita”, e di serenità che chiunque da subito può notare in ogni momento della vita in Casa Anziani. I nostri ospiti possono essere tristi, cosa assai comprensibile nella senescenza, ma  possono permettersi di essere rumorosi o essere svegli nella notte. Possono avere fame in tempi inurbani o desiderare una passeggiata estemporanea. In definitiva possono assaporare il senso del “libero arbitrio dell’esistenza”. La qualità della vita scorre con ritmi domestici nei piccoli lavori e nei preziosi momenti di comunanza con tutto il personale di Casa. Spesso regalano sorrisi e on si sentono più e affatto inutili fardelli sociali.

 

-       Le virtù del sorriso

 

Abbiamo costruito nella quotidianità dei nostri incontri, un rapporto di assoluta fiducia e familiarità che ci consente di dialogare con loro con assoluta chiarezza di indagine che ci porta a percepire il loro esatto modo di intendere la loro permanenza tra noi. La notte trascorre ormai placida senza il diuturno trilìo delle emergenze, ed il sonno giunge con regolarità d’ogni ora e per tutti.

Anche l’uso dei comuni antidolorifici per le solitamente frequenti patologie da emicrania si è ridotto drasticamente. In alternativa il personale si fa carico di massaggi rilassanti e applicazioni alternate e frontali di panni caldi e freddi (il buon vecchio, collaudato metodo della nonna).

E poi ancora e sempre: un sorriso, una mano giovane e calda che stringe la mano all’anziano, uno scambio di parole famigliari.

E’ così che il mio tempo del lavoro, senza che neppure me ne accorgessi è divenuto il “tempo della vita”.

 

Carina Panier